I Medici Selvaggi. Storie di ieri, preoccupazioni di oggi.

Da alcuni anni esercito la mia professione anche a San Giovanni Gemini, un delizioso paese in provincia di Agrigento.

L’esperienza di un ambulatorio in un contesto “di paese” mi ha permesso di conoscere realtà che in parte sconoscevo: termini dialettali, gente semplicemente adorabile, vere e proprie patologie professionali legate al lavoro in campagna e, quanto di più curioso, usanze popolari.

Tra le usanze popolari vi è ancora traccia, che non riesco ancora bene a definire, di pratiche “pseudo-mediche” che vedono le loro origini diverse decine di anni fa, ma che tutt’oggi stentano a terminare, seppur chiaramente insensate e, talvolta, nocive. Mi riferisco a delle figure che vengono tradizionalmente definiti medici selvaggi.

Ho provato, per lunghe settimane, a effettuare ricerche sull’argomento. Alcuni testi di Giuseppe Pitrè fanno ampi riferimenti, ma le note più interessanti le ho trovate in un racconto storico, riportato da Renato Malta nel suo “Storia delle Parassitosi nelle zolfare di Sicilia” relativo alla biografia di Alfonso Giordano, medico nato a Lercara Friddi l’11 Gennaio 1843 e lì vissuto sino al 15 Luglio 1915. Collega di Giuseppe Pitrè, Giordano è stato un grande medico, un abile ricercatore e uno studioso, tra l’altro, delle patologie, fisiche e psichiche, della popolazione lercarese di fine ‘800, quando Lercara era l’unico centro minerario di zolfo della provincia di Palermo. Orbene, Giordano descrisse, nei suoi studi incentrati sulle patologie mentali la “Psicopatia religiosa di Alia” (Giordano A., La psicopatia religiosa di Alia. Osservatore medico, 1881; XXIX (3):12). “La popolazione di Alia, in preda alla carestia e all’ignoranza, si mostrò incline alla credenza alle streghe, fattucchiere e indovini, tanto che si rivolgeva spesso ai cosiddetti medici selvaggi . Parecchi anni prima, infatti, per opera di un prete, il P.F., -convulsionario ed epilettico-, si era raccolta una setta religiosa, costituita quasi esclusivamente da donne, al seguito di un presunto Taumaturgo di Cammarata, ivi morto in odore di santità, il quale da li aveva esteso le sue ramificazioni in tutta la comunità, acquistando purtroppo favore e protezione anche in molte famiglie rispettabili. Si trattava di un’affiliazione su base religiosa che trascendeva nel fanatismo e nelle demenze ascetiche”. Casi simili vengono anche riferiti a una certa Rosalia Giallombarda, Santa Bellina e altre isteriche di Alia. I fenomeni di chiaroveggenza attraevano forestieri dei paesi vicini (Roccapalumba, Vicari, Villaba, Montemaggiore, Valledolmo) con afflussi di gente tali da dover fare intervenire la forza pubblica.

Proseguendo nelle ricerche ho appurato che anche nella tradizione popolare favarese (Provincia di Agrigento) si narra di alcuni barbieri che oltre a tagliare i capelli, esercitavano la loro arte di “medici selvaggi” estraendo denti, curando le ossa e praticando salassi.In quest’ambito esiste una pratica, molto diffusa tra i “medici selvaggi” che viene chiamata “scilatura”. Impossibile reperire informazioni sui testi, ma dai racconti raccolti si tratta di una pratica in cui il “medico” pratica una sorta di massaggio, sempre descritto come molto energico (ai limiti del violento!), adoperando oltre alle mani (che godrebbero di particolari poteri guaritori) della mollica e/o dell’olio. Ovviamente non si tratta di olio di Argan come per i massaggi ayurvedici, ma di olio di semi. Tale pratica viene esercitata, probabilmente tutt’ora, come soluzione a molteplici problematiche muscoloscheletriche e non solo quelle dolorose. Oltre che, infatti, per la celeberrima “contrattura muscolare” o per il più noto “nervo accavallato”, la scilatura promette di essere di aiuto anche nel correggere i dismorfismi del rachide (tipo le scoliosi!) e disturbi gastroenterici/internistici.

L’esistenza di tali pratiche tutt’oggi rappresenta un pericolo sottovalutato dalla popolazione soprattutto perchè ritarda l’accesso alla diagnosi (quella vera, intendo). Si tratta di pazienti che perdono dei giorni o delle settimane prima di recarsi da un medico perché credono di essere già “in cura”, anche se da un selvaggio. Troppo spesso, purtroppo, un dolore cronico alla schiena è spia di patologie molto gravi e ritardare la diagnosi può esporre a gravi rischi.

Proseguirò le mie ricerche sull’affascinante mondo dei “medici selvaggi”, intanto mi auguro che questa nota possa essere letta da chi ne sa più di me e possa dare contributi (siano storici o attuali) e, soprattutto, che si possa, finalmente, relegare il ruolo del “curatore” ai racconti storici: oggi la medicina non ne ha più bisogno.

Marco Di Gesù

Fisiatra Interventista

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